Artemisia annua: una pianta da nobel

E’ di questi giorni la notizia dell’assegnazione del Premio Nobel per la Medicina e la fisiologia a William C. Campbell e Satoshi Ōmura, per la scoperta di una nuova terapia contro le infezioni causate da parassiti nematodi, e a Youyou Tu, per la scoperta di una nuova terapia contro la malaria.

Youyou Tu, dopo anni di ricerche, unendo le conoscenze della medicina occidentale con i preparati della medicina tradizionale cinese, ha scoperto l’artemisinina, un principio attivo che viene estratto dall’Artemisia annua efficace contro il plasmodio della malaria.

L’Artemisia annua L., detta anche assenzio annuale, é tipica della regione cinese dello Hunan, ed é altresì presente in Italia, dove però viene considerata una… pianta invasiva!

E’ una pianta erbacea annuale, può svilupparsi fino a raggiungere i 150 cm di altezza, é glabra e profuma di vermouth. Il suo tipo biologico é terofita scaposa (T scap), poiché supera la stagione avversa sotto forma di seme.

Il suo habitat sono i sentieri, strade rurali, campi e colture, incolti ghiaiosi e sabbiosi, basi di muri ed edifici e zone abbandonate. Si può trovare ovunque sul territorio italiano, dalla pianura alla collina (fino a 500 m s.l.m.), é infestante e abbondantissima, in particolare nel nord Italia.

E’ stata introdotta in Italia nel Settecento come pianta medicinale ad azione antimalarica, e viene classificata come pianta invasiva e dannosa, perché

“deprime la biodiversità delle comunità vegetali invase riducendone la componente autoctona; modifica la percezione locale del paesaggio; contribuisce alle pollinosi allergiche del periodo estivo-autunnale.”[1]

Artemisia Annua, foto di Jorge Ferreira (fonte: Wikipedia)

Nonostante la sua invasività, l’Artemisia Annua é una pianta utile all’uomo: oltre al principio attivo artemisinina, sono in atto delle ricerche sui suoi derivati sintetici per un loro potenziale uso come farmaci antitumorali (link in inglese), e nella medicina popolare viene considerata per le sue proprietà antisettiche, antibatteriche, carminative, digestive e febbrifughe.

Il genere Artemisia comprende anche altri tipi di piante, tra le quali ricordiamo:

  • Artemisia vulgaris L., nota come Artemisia comune o Amarella, pianta lunare sacra ad Artemide e nota fin dall’antichità per curare le disfunzioni mestruali, l’epilessia e il ballo di San Vito.
    Viene considerata nella tradizione popolare una delle erbe di San Giovanni: se raccolta in quella notte avrebbe protetto chi la portava con se’ dai fulmini e dalla peste. A Roma la si portava addosso per proteggersi da spiriti ed influssi maligni, mentre a Bologna si facevano scivolare di nascosto le foglie dell’artemisia sotto il cuscino del malato, per profetizzarne la guarigione o la morte.
  • Artemisia absinthium L., o Assenzio Maggiore, di cui sono note le sue proprietà terapeutiche (viene utilizzato come antisettico, digestivo, stimolante, tonico e vermifugo), é alla base della composizione aromatica del vermouth, e dalla sua macerazione e distillazione si ricava la base per l’assenzio.
  • il Genepì, un tipo di artemisia che cresce sulle montagne ad alte quote, e che si presenta in molte varietà, come il Genepì Nero (Artemisia glacialis L.), il Genepì Bianco (Artemisia umbelliformis Lamb.) e l’Artemisia genipi Weber o Assenzio genepi a spiga, da cui si ricava il genepì, un liquore digestivo distillato dalle erbe di montagna.
  1. estratto da Enrico Banfi, Gabriele Galasso, “La flora esotica lombarda“, Milano, Regione Lombardia e Museo di Storia Naturale di Milano, 2010, p. 231

La Botanica dei Miti: Dafne

Laurus nobilis
Laurus nobilis L., l’alloro

“Tu cingerai l’invitto capo intorno
A i sommi trionfanti imperatori”

Apollo aveva da poco sconfitto Pitone quando, ancora tutto insuperbito da tale vittoria, incontrò Eros che armava il suo arco e si mise a schernirlo. Così il dio dell’amore, offeso dalle parole di Apollo, decise di punirlo mostrandogli il proprio potere. Volò sulla cima del Parnaso e dal suo arco scoccò due frecce: quella dorata che suscita l’amore era destinata ad Apollo, mentre con quella di piombo che scaccia la passione trafisse la ninfa Dafne.
Immediatamente il dio s’innamorò, Dafne invece non voleva neanche sentir nominare la parola amore; lei avrebbe voluto vivere come Artemide, eternamente vergine. Ma Apollo accecato dalle bramosie d’amore iniziò a rincorrerla e lei a scappare impaurita, come ogni preda davanti al nemico. Dafne fuggiva velocemente ma il dio, aiutato dalle ali della passione, correva ancor di più. Allora la ninfa, stremata da quella corsa disperata, chiese aiuto al fiume Peneo, suo padre, chiedendogli di dissolvere il proprio aspetto, causa di tutte quelle attenzioni. Il padre ascoltò le sue preghiere: il petto della giovane si fece corteccia, i folti capelli si allungarono in fronde, le braccia in rami e i piedi restarono inchiodati a terra tramutandosi in radici.
Persino con quelle sembianze l’amore di Apollo nei confronti di Dafne restava immutato; baciando e abbracciando il tronco disse: “Non sarai la mia sposa, sarai però il mio albero. O alloro, mai perderai l’ornamento della tua chioma, sempre le tue fronde adorneranno i miei capelli e sempre accompagnerai il capo dei vincitori”.

 

Gian Lorenzo Bernini: Apollo e Dafne (1622-1625). Roma, Galleria Borghese. Photo By dalbera from Paris, France (La Galerie Borghèse, Rome).
Gian Lorenzo Bernini: Apollo e Dafne (1622-1625). Roma, Galleria Borghese.
Photo By dalbera from Paris, France (La Galerie Borghèse, Rome).